"Il Ponte", giugno 2007

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI FRANCESI E L'UNIONE EUROPEA

Vincenzo Accattatis

Dopo la vittoria, Nicolas Sarkozy si riposa sullo yacht del magnate Vincent Bolloré: sessanta metri, sette cabine, dodici posti letto. Sarkozy fra i ricchi, dalla parte dei ricchi – già si sapeva.

Occorre discutere della sua linea politica: meno tasse per i ricchi, lavorare di piú per guadagnare di piú, meno lacci e laccioli, e favori per le multinazionali, europee in generale e francesi in particolare; nazionalismo, bonapartismo, autoritarismo, legge e ordine. Il programma socialista portato avanti da Ségolène Royal è l’opposto, o quasi: democrazia partecipativa, antiautoritarismo, riforma della costituzione autoritaria gollista del 1958, migliore Stato sociale, Unione europea sociale non solo a chiacchiere.

Sull’Ue è bene soffermarsi. Tutti i socialisti francesi ne sono adesso critici, abbiano votato per il «sí» o per il «no» al referendum sul Trattato costituzionale europeo (una lezione per la sinistra italiana). Coloro che hanno votato «sí» pensavano che il Trattato, certo insufficiente, macchinoso, illeggibile, pur tuttavia rappresentasse un passo in avanti. Coloro che hanno votato «no» pensavano, invece – e continuano a pensarlo –, che occorresse porre un alt all’Europa liberista, falsamente (sedicente) sociale. Ma, al di là delle divergenze del passato, tutti i socialisti francesi oggi pensano che occorra impegnarsi per costruire un’altra Europa, democratica e sociale. Il progetto socialista, adottato dal partito il primo luglio dello scorso anno, è esplicito su questo punto: «Il corso liberale della costruzione europea ha oscurato l’idea dell’integrazione solidale»; l’Unione europea «non dispone di un bilancio all’altezza delle sue ambizioni» e soffre «di un deficit democratico e sociale». Va registrato un altro dato significativo: nel corso della campagna presidenziale, dai socialisti, dai gollisti, e da molti altri, è venuta una levata di scudi contro la Banca centrale europea, che sfugge a ogni controllo politico e che, come da statuto, continua a preoccuparsi dell’inflazione, ma per nulla della disoccupazione e delle condizioni di vita delle popolazioni.

Di fronte ai socialisti europei che l’hanno applaudita, la Royal ha dichiarato: «Non spetta al signor Tricher decidere dell’avvenire delle nostre economie, ma ai dirigenti democraticamente eletti dei vari paesi» («Le Monde», 09.12.2006). Peraltro, critiche alla Bce erano già venute dal primo ministro Dominique de Villepin, e anche da Sarkozy.

Di tali questioni si discute in Francia, in Germania e in altri paesi, ma non Italia. Ed è preoccupante. A mio avviso, le critiche sono pienamente fondate. L’indipendenza della Banca europea riduce gli Stati nazionali a territori soggetti a regime democratico limitato. È per questo che l’euro è stato rifiutato dalla Gran Bretagna e da altri Stati.
Dopo le elezioni, il socialista Dominique Strauss-Kahn ha dichiarato: «Faccio politica per vincere, non per partecipare» (intervista di J.-P. Elkabbach, «la Repubblica» 08.05.2007). Osservo che ognuno fa politica per vincere, non per partecipare, ma, se si perde, occorre impegnarsi per vincere domani. È questo il corretto orientamento della Royal. Strauss-Kahn ha aggiunto: nei “paesi vicini” la sinistra «è stata capace di rinnovarsi, noi non lo abbiamo fatto abbastanza». Non sono d’accordo. La Francia tutta intera sta continuando a dare all’Europa una grande lezione di democrazia. Strauss-Kahn non se n’è accorto? L’ha data nel corso del referendum sul Trattato costituzionale europeo e poi con le elezioni presidenziali. La Francia è politicizzata, questo è il grande dato; discute, si schiera, si appassiona, offre modelli politici contrapposti sufficientemente chiari. I “paesi vicini” di cui parla Strauss-Kahn hanno da imparare.

Sarkozy ammira il dinamismo della società americana, ma non accetta nessun tipo di subalternità rispetto agli Stati Uniti; ha criticato e critica l’invasione dell’Iraq; si è dichiarato favorevole a un Trattato europeo “smilzo”, finalizzato al buon funzionamento di un’Europa a 27, da sottoporre al giudizio del parlamento – come dire che, a suo giudizio, i concetti di Costituzione o Trattato costituzionale vanno messi da parte. È prevedibile che l’Ue procederà proprio su questa via, che poi è quella liberale. Ovviamente, procedendo cosí, resta l’opposizione del popolo francese alla costruzione europea. La sinistra deve farsi carico di questa opposizione. E, piú in generale, dell’opposizione dei popoli. L’Unione europea di Sarkozy è l’Ue dei ricchi, delle élites, delle persone dei panfili a dodici posti letto.